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Patto di famiglia

Il patto di famiglia è una figura contrattuale introdotta per effetto di un disegno di legge approvato in via definitiva dalla Commissione Giustizia del Senato il 31 Gennaio 2006. Si tratta della Legge n. 55 del 14 Febbraio 2006, pubblicata nella G.U. n. 50 del 1 Marzo 2006, con cui il legislatore ha inteso anzitutto modificare l’art. 458 c.c., rubricato “divieto dei patti successori”, ed ha introdotto ex novo nel nostro codice civile gli artt. da 768 bis a 768 octies.


Anteriormente all’entrata in vigore della suddetta legge vigeva il solo art. 458 c.c. che, statuendo il divieto dei patti successori, così recitava: “E’ nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. E’ del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone di diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.


La vecchia disciplina, dunque, sopprimeva un’esigenza che si è progressivamente andata manifestando in modo sempre più esplicito, e cioè quella di poter liberamente programmare la futura funzionalità delle proprie aziende attraverso il passaggio generazionale. E fu soprattutto la predetta esigenza, oltrechè la necessità di fornire uno strumento atto a risolvere preventivamente l’eventuale conflittualità tra gli eredi del titolare di un’azienda sulle modalità di continuazione dell’attività economica familiare, a suggerire al nostro legislatore l’introduzione dell’istituto in questione attraverso la legge del 2006.


L’art. 768 bis definisce il patto di famiglia come il contratto con cui l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda o le proprie quote, ad uno o più discendenti, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie. Il patto di famiglia è, pertanto, una forma di autoregolamentazione della destinazione delle realtà aziendali e delle partecipazioni societarie, in quanto consente di disporre in vita il trasferimento dell’impresa preservando, in tal modo, l’unità del bene produttivo e garantendo, altresì, una efficiente continuità dell’iniziativa imprenditoriale, e ciò anche a vantaggio del sistema economico nel suo complesso.


Il patto di famiglia deve rivestire la forma solenne dell’atto pubblico a pena di nullità.


Più specificamente, trattasi di contratto plurilaterale, giacchè alla stipula del patto di famiglia devono partecipare – a pena di nullità del patto stesso - il coniuge dell’imprenditore e “tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore” (si veda art. 768 quater c.c.).


E’ bene precisare che l’art. 768 sexies statuisce espressamente che i “legittimari che non abbiano partecipato al contratto” potranno ottenere dai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma loro spettante. E’ di tutta evidenza che la citata disposizione normativa si riferisce agli eventuali legittimari sopravvenuti dopo la stipula del patto di famiglia, come ad esempio in ipotesi di una eventuale nascita di un altro figlio dell’imprenditore.


Un ulteriore novità introdotta dalla sopra citata Legge del 2006 consiste nella possibilità, riconosciuta ai legittimari, di rinunziare alla quota loro spettante e ciò in deroga al divieto dei patti rinunciativi vigente prima del 2006.


Per completezza di esposizione, occorre evidenziare come la nuova disciplina del patto di famiglia prevede delle disposizioni in deroga rispetto alla disciplina generale in tema di contratti.

Difatti, l’art. 768 quinquies, rubricato “vizi del consenso”, prevede quale termine di prescrizione dell’azione di annullamento del patto di famiglia quello di un anno, a fronte del termine di prescrizione di cinque anni previsto dall’art. 1442 c.c. in materia di contratti.


Per ciò che concerne il “dies a quo”, nel silenzio del legislatore del 2006, deve ritenersi applicabile la regola generale, sancita dall’art. 1442, secondo comma, c.c., in base alla quale “quando l’annullabilità dipende da vizio del consenso, il termine decorre dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l’errore o il dolo.

 
 
 

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